Nel Canavese

Introduzione

Le origini della ricerca 

Nel 2003, in occasione del trentesimo anniversario della sua adesione al Grande Oriente d’Italia la loggia “Costantino Nigra” d’Ivrea decise di avviare una ricerca delle proprie radici storiche. Era noto, come testimoniato dai documenti dell’archivio, che era stata fondata nel 1960 approdando,  dopo varie vicissitudini, al G.O.I.

Una più approfondita ricerca nell’archivio della loggia portò  al ritrovamento di documenti degli anni ’50 riguardanti la loggia “Piero Sarpi” e di altri relativi ai primi anni del ‘900 riguardanti la loggia “Il Progresso” che testimoniavano la presenza della massoneria nel Canavese.

A questo punto fummo contattati per dare una risposta a numerosi interrogativi  e   sondare se, da parte nostra, ci fosse la disponibilità a ricostruire le vicende della presenza della liberamuratoria nel Canavese ma anche l’influenza che i massoni operanti in quell’area  ebbero in Piemonte e nel resto della penisola. Tenendo conto degli studi che avevamo già compiuto in precedenza sulla massoneria piemontese e del significativo interesse che il tema rivestiva, abbiamo deciso di accettare la proposta a condizione che fosse salvaguardata la nostra indipendenza intellettuale e storiografica e che non fosse esercitata alcuna forma di controllo o, peggio, di censura sul nostro lavoro. Questa condizione venne immediatamente e pienamente accettata perché tutti i membri della “Costantino Nigra” erano mossi unicamente dal desiderio di testimoniare, come ci scrissero:

la presenza, in questa terra, di uomini che, senza distinzione di idee politiche, razza e religione, concretamente operano, ora come un tempo, per il trionfo degli ideali di Libertà, Uguaglianza, Fratellanza, Solidarietà e Tolleranza. Con questa pubblicazione vogliamo contribuire a sfatare quelle che consideriamo false convinzioni sull’essenza della Massoneria. Non tutti gli attuali membri della Loggia sono canavesani, ma tutti sono profondamente legati a questa regione nelle quali hanno posto salde radici. Per questo desideriamo conoscere, con il massimo rigore storiografico possibile, chi sono stati i nostri predecessori e come hanno agito, politicamente e socialmente, nel nostro territorio [...] Abbiamo un solo desiderio. All’inizio, quando pensammo a questa ricerca, non ritenevamo  importante che si sapesse chi ha fatto che cosa, l’importante era sapere che senza il contributo di tutti non sarebbe stato possibile realizzare quell’arricchimento spirituale che è tra gli obiettivi del nostro lavoro. Sia consentita l’immodestia del paragone: come gli antichi costruttori elevarono  Cattedrali sublimi senza firmare l’opera, così potevano non esserci  firme sotto i nostri lavori perché ognuno ha prodotto secondo le proprie capacità ma con uguale impegno (…). Il mutare dei tempi ci ha indotto a riconsiderare questa volontà ritenendo che la sponsorizzazione di questa ricerca non doveva essere anonima e per coerenza  la paternità la dovessero assumere coloro che in questi decenni  hanno ricevuto dai membri della loggia il peso e  l’onore di dirigerla, ovvero i Maestri Venerabili pro tempore Giancarlo Baldini, Giuseppe Bavarino, Delfreo Bianchi, Amedeo Dagna, Luigi Ghisi, Aldo Giromini, Mario Misul, Antonio Pongan, Danilo Rosson, Tommaso Villari.

 

Ovviamente non ci fu, da parte nostra alcuna obiezione. Ritenevamo anzi naturale che i sostenitori di questa ricerca fossero ben identificabili con la massima chiarezza e trasparenza, perché è raro trovare enti o associazioni che chiedano di ricostruire la loro storia senza rinunciare a esercitare alcuna forma di interferenza, come nei fatti è accaduto.

Storia della Massoneria canavesana

Con queste premesse affrontammo l’impegno di ricostruire la storia della massoneria canavesana con una buona dose di entusiasmo, ma anche con alcune perplessità di carattere storiografico. Al di là di una non approfondita conoscenza della storia socio-politica del territorio, peraltro facilmente superabile con la consultazione di quanto era già stato in questo senso pubblicato, avevamo ben presenti le difficoltà cui va incontro lo studioso che intenda occuparsi di massoneria a livello locale. A parte alcuni pregevoli contributi a carattere nazionale, non sono molto numerosi in Italia – a differenza della Francia e della Spagna – gli studi condotti in ambito locale per il periodo che va dalla metà del XVIII secolo al secondo dopoguerra.

L’oggettiva esiguità di fondi documentari significativi non è tuttavia la sola causa di una tale carenza. Altre difficoltà, infatti, sono rilevabili: da un lato vi è la concezione, da parte di alcuni studiosi, della massoneria intesa come entità metastorica, analizzabile unicamente ‘dall’interno’, dai propri affiliati, i soli in grado di capire un’organizzazione chiusa nei suoi Templi, regolata dai suoi riti esoterici e, perciò, completamente sradicata dalla realtà storica circostante; dall’altro, invece, vi è il disinteresse per troppo tempo ostentato dal mondo accademico italiano nei confronti di un tale oggetto di ricerca.

Questi fattori hanno prodotto una vasta letteratura pressoché inutilizzabile dallo storico, dando spazio a una corrente storiografica, filo o antimassonica, di dubbia validità scientifica che – contestualmente a una scarsa ricerca accademica scevra da sterili polemiche e falsi protagonismi – ha finito per monopolizzare il mercato editoriale e culturale italiano.

Il grande interesse che il tema della socialità ha suscitato nel corso degli ultimi anni anche fra gli storici della penisola ha fino a questo momento investito solo marginalmente gli studi sulla massoneria. Sono stati sì pubblicati saggi e articoli – in alcuni casi molto pregevoli – sul mondo latomistico, in cui si sono presi in esame aspetti di fondamentale importanza (i rapporti con il mondo politico o quelli con la Chiesa, per esempio), ma pochi di questi contributi si sono serviti degli approcci e delle metodologie propri del filone di studi sulla socialità, finendo per tralasciare l’analisi di elementi di estremo interesse, quali la composizione sociale degli affiliati, la distribuzione geografica delle logge, le dinamiche relative alle forme di partecipazione e alla vita interna delle officine, i networks relazionali sorti tra iscritti e gruppi sociali e politici, le simbologie e le ritualità intese non nel loro significato esoterico, ma nella loro valenza civile.

D’altro canto gli specialisti dell’associazionismo ottocentesco, spesso approdati a questo filone di ricerca in seguito a precedenti o concomitanti interessi per la storia delle borghesie, hanno quasi completamente trascurato l’oggetto ‘massoneria’. Con ciò dimostrando di non aver tenuto nel minimo conto la fondamentale lezione di Maurice Agulhon, maestro riconosciuto in questo genere di studi, il quale proprio partendo da un’indagine sulla diffusione delle logge massoniche nella Francia meridionale del XVIII secolo aveva definito il proprio fortunato paradigma interpretativo. Grazie a questo genere storiografico e ai metodi di ricerca messi in atto, è oggi possibile studiare la massoneria italiana anche a livello locale delineando un quadro generale delle dinamiche sia interne (organismi centrali e periferici, alleanze, fratture e ricomposizioni della struttura) sia esterne (intervento in campo sociale e impegno politico) dell’organizzazione.

Lo studio di questo particolare tipo di associazionismo presenta, a differenza di altre forme, una componente – quella iniziatica-esoterica – non facilmente analizzabile con i consueti strumenti utilizzati dello storico, rendendo perciò necessario il ricorso a quelli propri della ricerca sociologica e antropologica. Per affrontare la storia della massoneria a livello locale occorre quindi delineare una premessa metodologica e definire tre ambiti distinti o, in altre parole, tre cerchi non necessariamente concentrici.

La massoneria non può essere intesa come una realtà metastorica, immutabile nel tempo, omogenea o addirittura monolitica. Per questo motivo è necessario studiarne le varianti, sia sul piano organizzativo, sia su quello rituale ed esoterico.

Uno studio approfondito della realtà internazionale rivela la complessità della fenomenologia dell’organizzazione massonica fin dal suo primo apparire in età moderna, istituzionalmente individuato nell’anno 1717 in Inghilterra, a Londra. Essa ha sviluppato nel corso del tempo una propria tradizione storica, al cui substrato composto dai principi, dalle finalità e dai metodi di carattere universalistico e iniziatico si sono via via connesse le realtà storiche, politiche e religiose dei Paesi ospitanti.

In questo senso l’Italia occupa un posto particolare sia per il suo difficile travaglio nazionale, che la portò a costituire in tempi relativamente recenti – rispetto ad altre realtà nazionali europee – uno Stato unitario, sia per la forte influenza esercitata dalla Chiesa nelle questioni politico-sociali del Paese.

Ma torniamo ai tre cerchi più sopra evocati. I primi due riguardano la struttura e il dibattito interno dell’organizzazione: in quello più piccolo occorre ricostruire, servendosi delle fonti a disposizione, lo sviluppo e il declino delle logge, soffermandosi in particolar modo sugli aspetti legati alla loro struttura (numero e composizione sociale dei membri attivi), all’appartenenza a uno specifico organismo massonico nazionale, al rito praticato e alle dinamiche interne (elezioni, dimissioni, scissioni). Tutti elementi che vanno considerati tenendo conto della storia, socio-politico-economica, del territorio esaminato.

Nel secondo cerchio, invece, occorre affrontare il problema del rapporto centro-periferia, tentando di evidenziare in primo luogo il maggiore o minore grado di condizionamento che la politica dell’Istituzione può avere esercitato sulla vita delle singole officine, in questo caso di quelle canavesane.

Il terzo cerchio riguarda infine i rapporti tra la massoneria e lo Stato e quelli tra la massoneria e la società civile, senza dimenticare le relazioni intrattenute dall’organizzazione con la Chiesa cattolica e, soprattutto, con il clero locale, caratterizzate da antimassonismo da una parte e anticlericalismo dall’altra.

Un tale schema interpretativo deve tuttavia essere successivamente adattato ai quattro periodi nei quali l’istituzione liberomuratoria ha esplicato la propria azione, e cioè la seconda metà del Settecento, il periodo napoleonico, l’arco di tempo che separa l’Unità del Paese dall’avvento del fascismo e, infine, il secondo dopoguerra.

Come abbiamo esplicitato nel titolo, nel caso dell’area canavese è opportuno parlare di «presenze», ossia di personaggi canavesani che hanno ricoperto ruoli di primo piano sia a livello nazionale sia a libello internazionale, e di «presenza», ovvero di gruppi strutturati che hanno agito sul territorio. Relativamente al primo periodo è possibile parlare soltanto di «presenze», poiché non vi è traccia di entità liberomuratorie che operassero nel canavese, anche se è utile ricordare che tra quanti ressero le sorti della massoneria sabauda, operando a Torino e in contrapposizione alle logge di Chambéry, ci furono, oltre al pinerolese Sebastiano Giraud, anche alcuni nobili canavesani, in particolare i fratelli Giovanni Alessandro e Giovanni Amedeo Valperga di Masino, rispettivamente marchese di Albaretto e di Caluso, nipoti del famoso erudito e massone Tommaso Valperga di Caluso. Il fatto poi che questi stessi personaggi fossero i promotori di numerose accademie – che, a detta di Franco Venturi, «raccoglievano le forze della nobiltà e del clero capaci di trasformarsi [e contribuire], come la massoneria a cui queste società erano spesso legate, a creare una nuova classe dirigente, animata dai lumi ma cosciente dei concreti problemi che essa doveva, sul posto, affrontare» – conferma che i massoni canavesani rappresentarono una parte importante della storia, non solo liberomuratoria, piemontese, e che, ciò nonostante, attendono ancora di essere studiati compiutamente.

Per quanto riguarda il periodo dominato dalla personalità di Bonaparte possiamo invece parlare di «presenza», per il fatto che la loggia eporediese «Sincère et Parfaite Union» agì a livello locale, contribuendo alla realizzazione del paradigma napoleonico finalizzato a neutralizzare le divisioni esistenti tra nostalgici sabaudi e sostenitori dell’Impero, tra giacobini atei e clero illuminato, tra federalisti e unitari, favorendo la loro convergenza verso una corale difesa del principio del bene comune, che doveva realizzarsi per mezzo del progresso scientifico, di una legislazione che regolasse la vita civile, salvaguardando così la libertà individuale e collettiva, e della creazione di un serio e capace apparato amministrativo pubblico. Nella ricostruzione di questo percorso abbiamo tentato di approfondire lo studio di alcune «presenze» significative, come quella del conte Alerino Palma di Cesnola e di Giacomo Pavetti, della cui appartenenza alla massoneria non si è mai parlato, ma dei quali, soprattutto, non si è fino a questo momento studiato l’operato all’interno di un contesto in cui l’influenza e le relazioni di natura massonica possono spiegare lo sviluppo di determinati avvenimenti. In questo senso il capitolo dedicato ai moti costituzionali del 1821 rappresenta la prova senza dubbio più tangibile.

Se passiamo a considerare il periodo liberale, ci accorgiamo che le «presenze» e la «presenza» si intersecano in modo così complesso da rendere difficoltoso il tentativo di seguirne in modo autonomo di singoli percorsi. La loggia divenne in questo periodo il luogo di aggregazione e di difesa dei valori laici, e agì all’interno del paradigma di modernizzazione portato avanti dal nuovo Stato unitario.

In questo progetto alla massoneria si presentarono nitidamente due possibilità d’intervento, di radicamento e di proselitismo: nel fervore associazionistico della società civile, da una parte, e nei settori nevralgici delle istituzioni statali, dall’altra. I due percorsi si inserirono all’interno di un campo di forze in cui erano presenti molteplici tensioni provenienti sia dal basso sia dall’alto: dal basso, rispetto allo sviluppo dell’associazionismo dentro il corpo della società civile; dall’alto, rispetto a un percorso istituzionale che privilegiava la dimensione statuale dell’intervento politico.

Seguendo questo percorso è possibile affermare che la massoneria agì come un’organizzazione a difesa dello Stato laico e liberale non solo contro le spinte delle forze rivoluzionarie antisistema, ma anche contro le forze moderate, timorose che una convergenza tra la componente cattolica e quella moderata dinastica, appoggiata dall’incultura politica delle masse rurali, conducesse alla nascita di un regime illiberale e clericale. Secondo Ferdinando Cordova, l’obiettivo della massoneria «fu di varare alcune leggi che incidessero in profondità nelle strutture sociali e nel costume del paese. L’intuizione dei massoni fu che il ritorno dei cattolici, nella vita pubblica, le avrebbe rese impossibili, alterando le premesse da cui era nata l’unità ed introducendo elementi di netto contrasto con la cultura positivista, che ne era all’origine».

Queste puntuali considerazioni spiegano perché la massoneria italiana si sia costantemente caratterizzata per la promozione del progresso scientifico, per l’acceso anticlericalismo, per l’attivazione di una fitta rete d’associazionismo laico, e non deve pertanto stupire che ci sia stata una massiccia presenza, nelle logge e negli organismi dirigenti, delle minoranze religiose ebraica e protestante.

Analizzandone il programma, risulta evidente quanto l’anticlericalismo fosse considerato come una delle principali componenti della laicizzazione dello Stato e della società civile. L’obiettivo dichiarato consisteva nell’annullamento, attraverso tappe successive, dell’influenza esercitata su questi ultimi dal cattolicesimo. La massoneria non si configurò mai come un movimento antireligioso. Piuttosto, essa condusse la propria battaglia non contro la religione cattolica in quanto tale, ma contro il conservatorismo e i pregiudizi diffusi dalla Chiesa, considerati seri ostacoli al progresso della scienza e della società civile, facendosi portatrice di un intento critico-ideologico finalizzato alla laicizzazione della scienza, oltre che del consesso sociale, e tentando di separare la conoscenza della realtà naturale da ogni riferimento metafisico-religioso. Tutto ciò assunse un valore particolare nel canavesano, se si tiene presente che la diocesi d’Ivrea ha sempre espresso, nel corso della propria storia, vescovi di grande prestigio: in tale contesto l’insegnamento impartito finiva per suscitare un’eco ben più ampia dell’area in cui essi esercitavano l’impegno pastorale, accentuando, di conseguenza, la polemica ‘laicista’ dei massoni locali.

Come nel caso dei periodi precedenti, la ricerca si è snodata attraverso la struttura interna dell’officina, la sua capacità di radicarsi sul territorio e di stringere alleanze, di farsi portatrice di istanze laiche e di contrapporsi alla Chiesa cattolica; ed è in questo percorso che sono emersi personaggi di grande spessore politico e culturale, come Costantino Nigra, Giacomo Saudino o Carlo Alberto Quilico, il cui ricordo permane purtroppo nella memoria collettiva soltanto in virtù della toponomastica cittadina.

La guerra e il dopoguerra mutarono profondamente la composizione socio-politica della massoneria eporediese. Soprattutto, la sua leadership assunse una posizione favorevole al nascente movimento fascista che restò immutata, a differenza di quanto accade in altre regioni italiane, anche dopo il lento ma inesorabile avvicinamento di Mussolini alla Chiesa cattolica, che, come è noto, poneva come conditio sine qua non la distruzione della massoneria e del laicismo in generale.

Il ventennio fascista distrusse completamente gli organismi liberomuratori che si ricostituirono all’indomani della liberazione e che, negli anni successivi, anche a causa del mutato assetto politico, assunsero marcate posizioni filoccidentali e anticomuniste, dando vita a un’Istituzione molto diversa da quella operante nel periodo liberale, senza velleità politiche e fortemente in crisi per quanto riguardava nuove adesioni, almeno fino alla metà degli anni sessanta.

Abbiamo ritenuto opportuno pubblicare in appendice, per non appesantire la lettura del testo, alcuni documenti che potranno consentire al lettore di approfondire determinati aspetti della storia ma, soprattutto, di restituire in modo inequivocabile la passione e il linguaggio utilizzato nel corso di quasi 250 anni e di conoscere la composizione della loggia eporediese nel corso dell’età napoleonica e di quelle canavesane nel periodo liberale. Infine, considerando che la massoneria utilizzava una terminologia specifica per indicare date, luoghi, oggetti, incarichi e atti amministrativi, e che tale linguaggio appare costantemente nella documentazione citata nel presente lavoro, abbiamo inserito un breve lessico massonico al fine di agevolarne la comprensione.

 

Vorremmo ringraziare il sindaco di Ivrea, dottor Fiorenzo Grijuela, per averci facilitato le ricerche condotte nell’Archivio comunale; il personale della Bibliothèque nationale de France, della Biblioteca civica «Costantino Nigra» di Ivrea e dell’Archivio storico del Grande Oriente d’Italia per la gentile e competente collaborazione. Un particolare ringraziamento va all’amico e professore Fulvio Conti, per averci costantemente seguito nel corso della ricerca e per aver accettato di scrivere una prefazione, e al professor Silvano Montaldo, che ha pazientemente letto il manoscritto, fornendoci preziose indicazioni. Naturalmente non possiamo citare tutti coloro, maestri, colleghi e amici che hanno contribuito, seppur indirettamente, alla stesura di questo lavoro, ai quali va il nostro sincero riconoscimento.

 

Rassegna Stampa relativa alla Massoneria nel Canvese